venerdì 10 giugno 2011

Perché vado a votare

Considerato che un membro del Governo della Repubblica ha sostenuto, ieri ad Annozero, che chi invita ad andare a votare No è un imbroglione, perché chi vota No sostiene il Sì, vorrei controargomentare che chi invita a non andare a votare è in realtà un eversore che attenta alle istituzioni democratiche. Infatti non è solo una questione di sì o di no. Di tenere o abrogare una determinata legge. Anche. Ma questo è un discorso subordinato. Prima c'è un altro argomento da affrontare: come funziona una democrazia. Non è un argomento da poco, né tantomeno lo si può sviluppare in un breve post di un blog. Porrò invece solamente alcune riflessioni al vaglio dei lettori per sollecitare il pensiero critico sul tema. Non riporto qui definizioni, concetti, storia  della democrazia che facilmente si possono trovare con un click e che invito i più volenterosi a leggere.
Premetto, poi, per onestà intellettuale, che voterò 4 sì ai prossimi referendum, ma che ho sempre e comunque esercitato il mio diritto-dovere di elettore anche quando sono andato, in passato, a votare no.

Chi invita a non votare  spinge a comportarsi da free rider, nel senso di persona che approfitta ingiustamente della situazione senza pagarne il fio. La democrazia ha un costo, si sa, ma oltre al costo istituzionale ha un costo personale:  per funzionare la democrazia richiede un minimo di partecipazione, di cittadini che votino e che si facciano un'opinione, insomma ha bisogno di una serie di comportamenti  funzionali: bisogna pagare il biglietto dell'autobus, per avere un autobus funzionante ed un servizio puntuale.
Dice Amartya Sen nel suo "L'idea di giustizia":
Il successo della democrazia non dipende soltanto dalla capacità di realizzare la migliore struttura istituzionale concepibile, ma anche e inevitabilmente dai nostri effettivi modelli di comportamento nonché dal funzionamento delle interazioni politiche e sociali. Affidarsi nelle mani "sicure" di una società sancita esclusivamente per via istituzionale non porta a nulla. L'efficacia delle istituzioni democratiche, come quella di qualsiasi altra istituzione, dipende dalla reale capacità dell'azione umana di sfruttare tutte le opportunità per dare vita a scenari adeguati.     p. 360

Mio padre, tra il '43 ed il '44, a meno della metà dei miei anni, si è fatto mesi e mesi di carcere, da partigiano ed è evaso sotto un bombardamento in quanto appartenente ad una della molte piccole brigate di partigiani che nella pianura padana hanno lottato, con molte difficoltà, contro la tirannia nazi-fascista, per regalare alle generazioni che sono venute dopo libere istituzioni democratiche. Per tutta la sua vita di maestro elementare ha insegnato ai bambini, l'italiano, la matematica, la storia, la geografia e le scienze ma soprattutto che senza impegno personale, che senza doveri non esistono diritti. E insegnava loro, mi ricordo come fosse ieri, ad ogni ricorrente turno elettorale, la pratica della democrazia, simulando in classe delle elezioni con tanto di urna, scheda e spoglio dei voti, sottolineando sempre che non importava chi vinceva e chi perdeva, ma il dovere di eseguire questo sacro rito democratico.
A persone come lui, combattenti in guerra, educatori in pace, dobbiamo le nostre istituzioni democratiche.  Verso i nostri figli abbiamo il dovere di trasmettere loro queste istituzioni e la cultura che le permette. Distruggere la cultura democratica invitando la gente a non votare è un attentato alla democrazia e come tale andrebbe perseguito.
Votate sì, votate no, ma votate.